
Il secondo album interamente dedicato a Chopin è ora disponibile come CD fisico e sulle principali piattaforme online.
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Note di copertina di Riccardo Risaliti
Le prime quattro opere di questo intelligente programma chopiniano sono comprese nello spazio di cinque anni. Cinque anni sono pochi, ma nella breve vita di Chopin e considerando la velocità della sua maturazione, sono tanti. Si va da un brano ancora legato al virtuosismo elegante delle prime opere, a quel capolavoro costituito dalla Sonata op. 35.
Il terzo Rondò, op. 16, fa parte di uno stadio che Chopin sta già superando con lavori quali il primo Scherzo e la prima Ballata, e che ha già superato, anche in senso virtuosistico, con la prima serie di studi, op. 10. Egli era partito, come prima pubblicazione, proprio da un rondò, e poi ne scriverà altri tre; questa forma l’aveva anche usata come pezzo a sé stante per pianoforte e orchestra (op. 14) e come finale di concerto (op. 11 e op. 21); ma restava, nella sua forma mentis, una musica decorativa. Tale risulta, nella sua composita parte principale (Allegro vivace), anche il Rondò in mi bemolle, che però è introdotto da un episodio in do minore nello stile di Hummel, una specie di improvvisazione tra il serio e il drammatico che par preludere a qualcosa di importante: segue invece un motivo elegante la cui verve par preludere allo Chabrier dei Pezzi pittoreschi.
Dedicato a una brillante allieva di Chopin e di Liszt, oggi questo pezzo non è tra quelli più eseguiti del compositore polacco; però finì nel repertorio di due interpreti non da poco: Sergei Rachmaninov e Vladimir Horowitz, che ne ha lasciato una versione di riferimento.
Ben altro livello artistico dimostra Chopin nelle quattro Mazurche op.24, che sono praticamente, dopo quelle dell’op.17, la sua seconda raccolta pensata come ciclo, che sarà sempre conclusa, fin dall’op.17, con un brano importante ed innovatore: che qui è, con una profonda trasformazione di linguaggio, la Mazurka n. 4 in si bemolle minore: la prima grande mazurka di Chopin. È più un poema che una mazurka, una trasfigurazione di mazurka; un “sorriso tra le lacrime”, una musica struggente che si spegne in pianissimo a una sola voce, sul quinto grado.
Già la prima mazurka, in sol minore, esprime una malinconia esistenziale, nei suoi modi popolareschi. La danza diventa più serena con la seconda, con i suoi quattro motivi in ritmo di valzer. Particolare, in uno di questi motivi, l’uso della scala lidia (un fa maggiore col quarto grado alzato). Anche la terza mazurka, in la bemolle, si muove in un fascinoso oscillare tra valzer e mazurka.

Pur nella sua personale evoluzione, costellata di capolavori, il notturno chopiniano fa periodicamente i conti con lo stile di Field, da cui era partito (senza citare i primissimi lavori ispirati alle polacche di Oginski). Dopo l’op.27, conclusa da quel Notturno in re bemolle che era un ritorno alla vocalità come alta sublimazione della maniera di Field, con l’op.32 Chopin torna a uno stile più semplice e dimesso. Nel primo notturno, di carattere idilliaco un po’ generico, è notevole la parte conclusiva, dove dei fa ripetuti nel basso, sotto un accordo di sol maggiore, preludono a una cadenza e a un recitativo drammatico, che non può che concludersi in tonalità minore. Anche l’altro notturno inizia con armonie di sapore fieldiano, ma la parte centrale decolla in uno splendido cantabile sotteso su accordi cangianti che attraverso due tonalità, portano a un fortissimo abbastanza imponente, prima di chiudere “leggerissimo” con la ripresa del primo tema. Questi due notturni furono pubblicati nel 1837.
Del 1837 è anche la Marcia che Chopin incorporerà due anni dopo nella Sonata in si bemolle minore, connettendole attorno gli altri tre straordinari movimenti, dando al tutto il nome di sonata: una “sonata” che Schumann accusò di scarsa omogeneità. È proprio questa Marche, che in alcune edizioni dell’epoca avrà l’aggettivo funèbre, che conferisce a tutta la sonata quel senso di morte che fu captato fin dall’Ottocento (“poema della morte” lo definì Anton Rubinstein, e più tardi “rapsodia della morte” Guy Sacre).
Il primo movimento è costruito sui due temi iniziali: quello di apertura col salto di settima discendente, e quello ritmico, con l’intervallo di terza minore, quando entra la mano destra. C’è poi un secondo tema cantabile. Il secondo movimento è una specie di valzer mefistofelico dove, nel trio centrale, la seduzione erotica (amore e morte) viene espressa da ripetuti dialoghi fra una voce solista e un lontano coro.
La potenza suggestiva dei primi due movimenti si annacqua un po’ nel Marcia, assai popolare, dove il grande crescendo della ripresa e la magica sonorità del trio sono effetti di sicura presa. Lo spettrale mormorio di sapore atonale evocato da Chopin nel quarto movimento richiede secondo le indicazioni dell’autore un legato e sottovoce abbastanza arduo a realizzare sui pianoforti moderni; e difatti viene quasi sistematicamente disatteso dagli interpreti. Dovrebbe rappresentare, secondo un’interpretazione ermeneutica già viva nell’Ottocento, un gelido vento di morte che sfiora il marmo delle tombe.
Dopo ben nove polacche, che si sviluppano dall’imitazione, da parte del giovanissimo Chopin, di quelle di Oginski e di Kurpinski verso più elaborate strutture, il compositore si decide a pubblicare le sue due prime polacche solo con l’op. 26. Sono già capolavori. Seguiranno le due op. 40 e, nel 1841 la grande Polacca in fa diesis minore, op. 44.
È un brano di grandi dimensioni, solo la Fantasia op. 49 e la Polacca-fantasia op. 61 la superano in durata. Più che una polacca è un poema: come scriverà Chopin, “una nuova specie di polacca, che è piuttosto una fantasia”. Lirismo e fierezza nazionale, che superano decisamente i sentimenti espressi nelle polacche precedenti, si ritroveranno nella Polacca in la bemolle maggiore, più nota ma non certo migliore di questa. Da una cellula iniziale di quattro note, formata dai due intervalli tipici di molti temi iniziali di Chopin, la seconda e la quarta, prende le mosse un passo di ottave che conduce al primo tema. L’episodio è abbastanza composito. Arriva poi un secondo tema, ascendente, e infine un passo in ritmo ostinato, quasi tamburi militari. Prima della ripresa, la parte centrale è formata da una specie di mazurka, che fa da trio (alcune polacche con mazurka le aveva già scritte Kurpinski). Chopin mette insieme, in questo lavoro, facendone un’apoteosi, le due forme di danza più popolari della musica polacca.

«Quando mi trovo davanti a un disco o a un concerto di musiche di Chopin, mi chiedo spesso a che punto è giunta, ai nostri giorni, l’interpretazione di questo autore così importante nella storia del romanticismo. Quando nel 1960 Maurizio Pollini vinse il concorso di Varsavia, Sviatoslav Richter scrisse nei suoi taccuini che fu una vittoria meritata in quanto – a detta del grande pianista russo – tra tutti i candidati di quel concorso il giovane italiano era l’unico a offrire un’interpretazione “patriottica e rivoluzionaria”, che era quello che allora si cercava in Polonia: un’idea di Chopin virile, vigorosa, eroica, “colata nel metallo”. Richter rilevava però in questo tipo di interpretazione una mancanza di poesia e di delicatezza, troppa fierezza e sicurezza di sé, e soprattutto assenza di “senso dell’improvvisazione”, che è la base della recitazione, della retorica musicale. L’emozione, come reazione incontrollata del corpo, originata da vari fattori dell’esecuzione, in primis dal fascino del suono, cede il passo al sentimento, che è invece – come la psicologia ha dimostrato – una elaborazione dell’emozione, una costruzione della mente. Come già negli anni Trenta un Arthur Rubinstein riuscì a superare l’interpretazione chopiniana di scuola romantica, seguito da alcune generazioni di pianisti, la lezione di Pollini fu recepita, dapprima per imitazione, poi per convinzione, dai giovani pianisti, i quali, nella preparazione ai concorsi soprattutto, divennero sempre più attenti alla precisione del testo e della tecnica, alla regolarità del ritmo, al rigore della
struttura, alla presenza autoritaria del suono, più che al suo fascino: uno stile moderno, che si è ormai attualizzato, lontano dalla poetica romantica, che solo negli ultimi anni, nell’attuale epoca post-moderna (molto bene descritta dagli ultimi libri di Piero Rattalino) sta lentamente tornando verso valori emozionali.
Il giovane Cecino, che ha fatto, e vinto, molti concorsi, ha finora accettato questa maniera, neoclassica se vogliamo, dell’interpretazione di Chopin, che senz’altro gli è giovata, ma dimostra qui un’attenzione evidente per quei valori emozionali cui accennavo. Intanto è riuscito a formulare un programma di grande varietà, e di attesa per quanto riguarda il grande repertorio chopiniano (a parte la Sonata in si bemolle minore, che è una sfida coraggiosa), dimostrando però di sapersi destreggiare entro generi che sono solo apparentemente “facili”, come la mazurka e il notturno. Riesce nell’eleganza Biedermeier del Rondò, nel lirismo nostalgico delle mazurche (n.1 e 4 dell’op. 24), suona i notturni con convincente libertà e la polacca con senso strutturale e potenza di suono, rilassandosi felicemente nella mazurka centrale. La Sonata risente ancora forse del rigore necessario in una esecuzione da concorso, più che della giusta comprensione del senso funereo di quel capolavoro. Ma come può un giovane di vent’anni riuscire a penetrare nel senso della morte? Gli auguro di avere davanti a sé molti, molti anni per maturarlo! È comunque una versione tecnicamente trascinante e di sicuro effetto.»
Riccardo Risaliti